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E tu, che tipo di brainstorming fai?

Si tratta di usare la testa (brain) per assaltare (to storm) un problema creativo; e farlo alla maniera degli incursori (commando), dove ogni assaltatore (stormer) attacca audacemente lo stesso obiettivo.

Osborn A. F., Applied Imagination: Principles and Procedures of Creative Problem Solving, 1953.

Avete sicuramente fatto brainstorming almeno una volta nella vita. Magari non ve siete resi conto e l’avete fatto per decidere cosa ordinare per cena durante una serata tra amici, e senza accorgervene avete concordato che l’idea di abbinare il sushi a un tagliere di formaggi in qualche modo funzionava. Oppure in ufficio, per decidere il piano strategico da attuare con un cliente, o per trovare la nuova struttura del prossimo podcast aziendale.

Che ne siate state coscienti o meno, è difficile che in vita vostra non vi siate mai trovati dentro un Brainstorming, ovvero dentro una tempesta di Alex Faickney Osborn, il pubblicitario statunitense che per primo ha definito questa pratica all’inizio degli anni ’50.

Il brainstorming è una pratica che segue regole precise; non è una discussione dove è importante anche trovare le criticità delle idee altrui. È un fenomeno irruento che vuole risolvere un problema, arrivare a un intento puntando sul far scendere in campo quante più forze e risorse possibili. È un po’ come giocare a freccette e decidere di lanciarle tutte insieme contro il bersaglio: statisticamente, qualcosa si colpisce (ed è indifferente che sia il centro del bersaglio o meno). Le regole sono quattro, e per Osborn sono assolutamente imprescindibili affinché il brainstorming funzioni:

1. Nessuna critica durante il processo creativo

Durante il brainstorming, nessuno può criticare le idee altrui, così come nessuno deve autocriticarsi. Deve crearsi un clima di totale libertà espressiva, sentirsi tranquilli nell’esprimere le proprie idee. Anche quelle più assurde, sconclusionate, scollegate, fantascientifiche e paradossali: vale tutto.

2. Istintività

Vietato ragionare troppo. Un po’ di ragionamento può far bene, ma se ci si sofferma troppo nel cercare di trovare collegamenti, nel cercare di dare un senso logico a ciò che si ha di fronte, allora viene meno il gioco di associazioni spontanee, di creatività priva di limiti legati alla realizzazione di cui il brainstorming si compone.

3. Quantità meglio della qualità

Durante il brainstorming è la quantità che conta, non la qualità. Le idee devono essere proposte spontaneamente, all’interno di un flusso creativo che non si cura della fattualità, e che non bada a eventuali costi o rischi di realizzazione. L’obiettivo è produrre quante più idee, quante più associazioni e spunti possibili. Per Osborn, è dalla quantità che poi si genera l’enorme qualità dell’idea finale.

4. L’integrazione di più idee è un valore aggiunto

Le idee vano proposte liberamente e seguendo un flusso ostacolato il meno possibile, ma è anche fondamentale ascoltare e tenere in considerazione le idee altrui; tramite l’ascolto e resa in chiaro delle varie idee – scrivendole su una lavagna, attaccandole con dei post-it, etc… – è possibile si può arrivare a creare collegamenti logici o semantici, andando a disegnare così i primi tratti della soluzione al nostro problema iniziale.

In DUAL, per esempio, oltre al brainstorming costante che ogni divisione compie per creare nuove strategie di marketing, per ideare nuovi format e trovare il tone of voice giusto per ogni cliente, alcuni mesi fa ci siamo trovati tutti e tutte collegati via zoom per partecipare a un gigantesco brainstorming. Obiettivo: trovare il nome per un brand nascente di liquori.

Subito dopo aver ascoltato il brief, aiutati da una lavagna digitale condivisa, da una musica rilassante e dalla regola aggiunta di non poter parlare, abbiamo iniziato ad aggiungere post-it virtuali con frasi, osservazioni, citazioni, giochi di parole, definizioni da dizionario, immagini, etc…

Un puzzle a primo impatto caotico, ma perfettamente collegato da un filo rosso che ognuno di noi era in grado di intravedere. La personalità del brand si trovava lì dentro, e i collegamenti e le combinazioni possibili erano centinaia.

Solo lavagna e post-it?

Dagli anni ’50 la pratica del brainstorming non solo si è diffusa anche al di fuori dell’ambiente pubblicitario, ma ha subito trasformazioni e varianti.

  • Brainwriting, dove nessuno può parlare.

Sono ammesse solo parole scritte, disegni o immagini, ma ai partecipanti è fatto divieto di parlare. Quando non è possibile spiegare la propria idea e si è costretti a lasciare che le persone interpretino liberamente ciò che avete scritto o disegnato il risultato può essere molto interessante.

  • Starbursting, dove valgono solo domande.

Se per risolvere un problema serve una risposta, qui si passa attraverso la domanda. Può sembrare facile, ma spesso siamo più portati a trovare soluzioni tramite analisi, e riuscire a farsi le domande giuste – o anche quelle sbagliate – costringe la nostra mente a lavorare in un modo in cui potrebbe non essere proprio abituato. Ma è proprio in questa inconsuetudine che può annidarsi la creatività.

  • Rolestorming, dove ci si mette nei panni di altri per provare a trovare soluzioni alternative.

Un po’ di metodo Stanislavskij e un po’ gioco di ruolo dal vivo, questo tipo di brainstorming punta al mettersi completamente nei panni e nella mente di un altro individuo – reale o fittizio – per provare a pensare come penserebbe lui, così da proporre idee e trovare soluzioni al di fuori dai nostri bias e dalla nostra personalità.

Come supporto poi possono essere usati gli strumenti più vari, e non solo penna e foglio di carta, ma anche carte di tarocchi e dadi cantastorie, o la plancette di un gioco da tavolo dimenticato nel cassetto in basso a destra del mobile.

Ma ha senso?

Differenti procedimenti creativi attivano aree del cervello diverse; ecco perché decidere di non usare le parole o scegliere di interpretare un mazzo di carte può portare a due flussi di idee completamente differenti. A seconda di come cerchiamo di ragionare, in base al percorso che ci sforziamo di fare, il nostro cervello prende vie e fa collegamenti diversi.

Ogni volta è un viaggio nuovo.

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