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C’era una volta, tanto tempo fa, un team building

Quando siamo bambini, le storie sono per noi qualcosa di cui sembriamo aver bisogno allo stesso modo del cibo e dell’affetto; sono una necessità che ci pare vitale. Se ci viene impedito di inventare storie, di abbandonarci alla creazione di un mondo di fantasia, o di immaginare boschi, animali selvaggi o gatti con grandi calzari subiamo un torto e una limitazione enorme, sia per la nostra emotività che per il nostro processo di sviluppo. E da adulti?

Da adulti è tutto più difficile: arrivano le responsabilità, le bollette da pagare, gli orari da rispettare, le scadenze, etc… anche durante il sonno – quando la nostra mente dovrebbe riposarsi, lasciarci tranquilli dai problemi quotidiani e recuperare le energie così da permetterci di affrontare la giornata – i sogni diventano spesso scenari sgradevoli e realizzazioni contorte di timori quotidiani.

Se addirittura il nostro cervello, dopo secoli di evoluzione, sembra suggerirci che anche nei momenti di sonno non dobbiamo staccarci completamente da ciò che viviamo da svegli, abbiamo davvero bisogno di storie, di momenti in cui far prevalere la fantasia e mettere la realtà da parte?

Nel suo saggio Come funziona la mente, lo scienziato cognitivo Steven Pinker sostiene che le storie ci dotano di un archivio mentale di situazioni complesse che un giorno potremmo trovarci a dover affrontare, insieme a una serie di possibili soluzioni operative.

Certo, applicare alla lettera le soluzioni di finzione alla realtà ci trasformerebbe tutti in dei comici Don Chisciotte, ma il valore educativo ed esperienziale è senza ombra di dubbio altissimo.

Quindi sì, abbiamo bisogno di favole ricche di insegnamenti, di fiabe con personaggi che travalicano la normalità, di storie in grado di esorcizzare le nostre paure, allenare l’empatia, la comprensione, capaci di insegnarci il valore della collaborazione. E se queste storie non esistono, allora è il momento di scrivercele da soli.

Alcuni mesi fa, le nostre colleghe stanziate a Marsala hanno ricevuto da un’azienda di Arenzano, in Liguria, la richiesta di creare un team building che fosse capace di stimolare l’empatia, l’ascolto reciproco e la comunicazione; qualcosa che permettesse a circa 40 persone di migliorare la comprensione reciproca, e di lavorare sia su loro stessi che sui bisogni altrui. Durante la chiamata conoscitiva qualcuno ha detto la parola “fiaba”, e da lì tutto ha preso forma.

Sei personaggi in cerca d’autore

Una volta accesa la presentazione in power point, fatti sedere tutti e scambiato quattro chiacchiere per sciogliere il ghiaccio, i partecipanti sono stati divisi in sei squadre da sei, e a ciascun team è stata consegnata una mistery box, insieme a un piccolo fascicolo contenente delle schede informative. Una di queste riportava un incipit, uguale per tutte le squadre: l’inizio della favola di Cappuccetto Rosso. D’un tratto, però, il testo si fermava per lasciare spazio a dei fogli bianchi. All’interno della storia avrebbe fatto irruzione un personaggio estraneo, differente per ogni gruppo; compito dei partecipanti era quello di immedesimarsi in questo personaggio, inserirlo nella scena e scrivere il resto della storia. Come? Mettendo in pratica empatia, ascolto, e cambiando la propria prospettiva sia nei confronti dei diversi personaggi che della storia stessa.

La mistery box distribuita conteneva invece dei prompt – ovvero degli oggetti di scena – per immedesimarsi ulteriormente nei vari protagonisti e metterli in scena, usando come palco le varie aree della location a disposizione.

Einstein, Freud, Rasputin, Jessica Rabbit, Maria Antonietta e Mata Hari erano i sei personaggi in cerca di autori e autrici in grado di dare loro una nuova storia da vivere, oltre che una motivazione valida per trovarsi all’interno di una fiaba con una bambina vestita di rosso, una nonna sulla strada di diventare un pasto indigesto, e un lupo poco informato sulle date di apertura della stagione di caccia.

La giornata si è svolta tra risate, momenti di riflessione, esercizi di immedesimazione e anche un po’ di teatro e di scrittura, per arrivare a mettere in scena sei storie uniche, rappresentanti non solo dei personaggi messi in scena, ma anche degli autori e delle autrici che hanno finito per mettere in gioco la loro parte più infantile, pura, giocosa e immaginativa.

Epilogo

Come scrive il saggista e teorico di letteratura evolutiva Jonathan Gottschall nel suo saggio L’istinto di narrare: “La finzione, espressa con qualsiasi mezzo narrativo, è un’antica e potente tecnologia di realtà virtuale che simula i grandi dilemmi della vita umana. […] Ci identifichiamo così intensamente con le tensioni dei protagonisti che non solo proviamo simpatia, bensì sviluppiamo nei loro confronti una forte empatia. Sentiamo la loro felicità, il loro desiderio, la loro paura; il nostro cervello si infiamma come se ciò che sta accadendo a loro stesse realmente accadendo a noi. La costante attivazione dei nostri neuroni in risposta a stimoli derivanti dal consumo di finzione narrativa rafforza e ridefinisce le vie neurali che consentono una navigazione competente nei problemi dell’esistenza”.

Lo avreste mai detto che immaginarsi Rasputin nel bosco insieme a Cappuccetto Rosso vi avrebbe insegnato a essere più empatici, a comunicare meglio con chi vi sta accanto, e vi avrebbe dato modo di sperimentare in totale sicurezza situazioni di crisi?

La fantasia, l’immaginazione, la capacità creativa e di immedesimazione sono strumenti estremamente potenti, che non andrebbero mai dimenticati se si vuole costruire un team solido e un ambiente lavorativo sano e stimolante.

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